Oggi parliamo della storia della musica grazie a questa ricerca scritta dal nostro gentilissimo lettore Simone M.

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Monodia medievale

Ci è giunta una traccia scritta della musica sacra, mentre quella profana è stata tramandata oralmente. Tra l’XI e il XIII secolo, nella Francia meridionale, nasce la tradizione trobadorica con testi in lingua d’oc al sud e d’oil al nord. Sono testi poetici spesso intonati insieme a strumenti musicali. Di questi testi ne sono giunti circa 2500, ma solo una piccola parte ha anche una trascrizione musicale perché il testo aveva maggiore importanza rispetto alla musica.

Il termine “trovatore” proviene dal provenzale “trobador” e dal francese “troveor”, e probabilmente vuol dire “cercare o trovare i tropi musicali” (i tropi erano un espediente per arricchire il canto liturgico). Il trovatore inventava un testo poetico e un’intonazione melodica o scriveva rime su melodie preesistenti. I temi erano di carattere politico, satirico, religioso, ma l’argomento più ricorrente era l’amor cortese, un sentimento elevato per un’entità femminile angelica.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che l’origine della lirica trobadorica sia da ricercare in ambito liturgico visto che ci sono alcune corrispondenze con la musica sacra del tempo; è stata però individuata un’altra origine di stampo islamico, data la grande somiglianza con alcune poesie arabe fiorite in Spagna.”

Il trovatore agiva nella società feudale al tempo delle crociate e del vassallaggio. Infatti, gli ideali epici della lirica trobadorica erano il coraggio, la sete di gloria e la lealtà nei confronti del signore, ideali che trovavano spazio nelle chansons de geste, nel romanzo cortese e nelle liriche trobadoriche. Il vassallo viveva nel castello con la sua famiglia e nei momenti di svago venivano organizzati tornei, nell’ambito dei quali erano allestite le cosiddette giostre. Era in queste occasioni che due cavalieri si scontravano a cavallo, o venivano organizzate battute di caccia o si apparecchiavano banchetti, in cui si esibivano giullari e danzatrici. Il trovatore spesso intonava i propri testi di fronte a un pubblico di nobili e si accompagnava con uno strumento musicale. Spesso, il trovatore aveva il solo compito di scrivere il testo ed era poi il menestrello ad eseguirlo in pubblico. Il trovatore aveva un’importanza maggiore rispetto al menestrello: il primo lavorava stabilmente presso un signore, mentre l’altro era un artista ambulante che aveva il compito di allietare i nobili e che aveva abilità nel creare rime, suonare la cetra e cantare piacevolmente. Menestrelli e giullari si esibivano anche nelle chansons de geste; tra le più importanti ricordiamo la Chanson de Roland, che narra le gesta di Carlo Magno contro i Saraceni nel 778. Di solito, giullari e menestrelli appartenevano a classi più basse, mentre i trovatori alla piccola nobiltà feudale. La maggior parte dei trovatori erano uomini, ma è stata documentata anche l’attività di alcune donne. Nella società cortese infatti, le donne di alto rango potevano competere allo stesso livello degli uomini, mentre la nobildonna viene vista come un essere sublime e irraggiungibile. Da questo nuovo modo di vedere la donna scaturisce l’amore cortese, un amore spesso non appagato che generava sofferenza, un amore adultero cioè rivolto ad una donna sposata di cui non viene mai pronunciato il nome. L’uomo è in una posizione di inferiorità e di idealizzazione della donna. Le principali forme della lirica trobadorica sono: • la canzone, di cara,ere amoroso; • l’alba, che narrava del risveglio degli aman?; • la pastorella, che narrava l’incontro tra un signore e una pastorella; • il sirventese di cara,ere sa?rico cantato da servo a suo signore. I viaggi dei trovatori permisero una grande diffusione della lirica tra la Catalogna (Spagna) e l’Italia. Le liriche provenzali si diffusero anche nel nord della Francia e piano piano nei paesi di lingua tedesca; qui i trovatori venivano chiama? minnessanger. Tra l’XI e il XII secolo nascono anche i Carmina Burana, can? goliardici ispira? ai testi? trobadorici originali canta? dai Clerici vagantes, studenti vagabondi. I canti dei trovatori arrivarono alla corte di Federico II in Sicilia dando vita alla scuola siciliana: le liriche non vengono più cantate, ma diventano poesie in volgare; il tema è soprattutto l’amore cortese.

Musica per insegnare

Nel Medioevo, il sistema musicale derivava da quello greco e romano. L’insegnamento della musica avveniva nelle scuole dei monasteri e delle cattedrali ed era finalizzato alla formazione dei religiosi che diventavano musici (studiosi di teoria musicale) e cantores (cantori).

Nasce un nuovo interesse teorico verso la musica: Sant’Agostino scrive il trattato “De musica” e Severino Boezio scrive “De institutione musica”.

Con Carlo Magno, le scuole furono riorganizzate e si arricchirono di nuove materie: si poteva seguire un curriculum per l’apprendimento dei canti liturgici, e la musica venne inserita tra le materie di studio tra le arti del Quadrivio che, insieme al Trivio, erano l’organizzazione del sapere scolastico. Solo dopo l’anno Mille furono create scuole laiche.

Nel clima culturale della riforma carolingia si avvertì la necessità di una sistematizzazione della teoria musicale e si arrivò alla strutturazione di otto scale definite modi. Ogni modo presenta due note di ruolo più importante: la finalis, ovvero la nota con cui si chiude un brano musicale, e la repercussio o dominante, nota perno intorno alla quale viene costruita una linea melodica. Nei modi autentici, la finalis è la prima nota del modo stesso, mentre i modi plagali assumono la finalis del modo autentico. I modi che partono dalle note re, mi, fa, sol sono considerati autentici (superiori) e nascono da una successione ascendente di cinque note; a ogni modo autentico corrisponde un modo plagale (inferiore). Un modo plagale si ottiene dall’aggiunta della quinta di base di una successione di quarta al grave (alla quinta re-la, viene aggiunta al grave la quarta la-re). Da un modo che parte da re nasce un modo plagale che parte dalle note la, si, do, re. La dominante dei modi autentici si colloca una quinta sopra la finalis, nei modi plagali invece è una terza sopra la dominante del corrispondente autentico.

La maggior parte dei canti liturgici rispecchiava queste regole, ma non mancavano eccezioni. L’oktoechos fu ad esempio adottato dall’ordine cistercense nel XII secolo per favorire lo studio dei canti perché rendeva più semplice la memorizzazione delle melodie. Anche nel mondo arabo, spesso ci si riferiva alla teoria bizantina o greca, come nel caso dello studioso Al-Farabi che si ispirò allo stesso sistema del mondo occidentale.

Verso la fine del IX secolo si avvertì l’esigenza di definire l’altezza di un suono e gli intervalli. In un primo tempo, si trovarono codici musicali con righi tracciati a secco, ossia incisi sulla pergamena, e tra il X e l’XI secolo si iniziò ad utilizzare righi colorati per distinguere le note, giallo per il do e rosso per il fa. Non esiste uno sviluppo lineare del fenomeno: i documenti testimoniano una fase di sperimentazione. Nell’XI secolo, il monaco Guido D’Arezzo fece una sistematizzazione e definì un sistema di 4 righi, il tetragramma, formato da due tipi di chiavi, do e fa. Nel frattempo, la forma dei neumi si andava semplificando e si affermarono note di forma quadrata che permisero l’abbandono dei neumi precedenti. Anche se non ci sono fonti certe, il metodo della solmisazione è attribuito a Guido d’Arezzo. È un metodo didattico per facilitare la memorizzazione del canto e la corretta intonazione. Guido individuò un’unità di misura, l’esacordo, composto da 6 note: ut (do), re, mi, fa, sol, la; questa scala corrisponde all’ambito della maggior parte dei canti liturgici. Tutte le note del sistema potevano essere cantate facendo riferimento ai suoni dell’esacordo, passando da un esacordo all’altro con un meccanismo chiamato mutazione; quando si arrivava alla nota sol di un esacordo si cantava la nota mi di un altro esacordo, da cui il termine solmisazione. La solmisazione è stata ripresa anche in alcuni metodi didattici moderni, come quello del do mobile, utilizzato molto dal compositore Kodaly per la formazione musicale dei bambini. Il sistema dell’oktoechos non prevedeva alterazioni a eccezione del si bemolle. I canti venivano scritti in modo da rientrare in uno dei modi del sistema e, nella pratica, i cantori li trasportavano all’altezza che preferivano. Quando lo sviluppo del linguaggio musicale portò ad utilizzare note diverse da quelle previste nei modi, questa fu designata dai teorici musica ficta, ossia musica falsa.

La Polifonia e la Nascita della Notazione ritmica 

Le prime testimonianze scritte della polifonia nel Medioevo risalgono al IX secolo e sono state attestate da due trattati: Musica Enchiriadis (manuale di musica) e Scolica Enchiriadis (Manuale di Scuola), entrambi scritti forse dalla stessa mano nell’abbazia francese di Saint Amand. Il tipo di polifonia descritta viene chiamato organum, cioè disporre in modo organizzato. Il procedimento consiste nel sovrapporre a un canto liturgico monodico una melodia che lo raddoppia per moto parallelo con una distanza di quarta al grave. Gli intervalli di quarta, quinta e ottava furono scelti perché erano già stati studiati da Pitagora e corrispondevano alle differenze naturali tra le voci di adulti e bambini. Il canto dato è definito vox principalis, la linea aggiunta vox organalis; il procedimento nel suo insieme è chiamato anche contrappunto, cioè nota contro nota.

Il sistema di notazione del trattato Musica Enchiriadis è così complesso che non ebbe ulteriore diffusione. L’autore del trattato dice che la notazione viene usata per l’ornamento di canti liturgici: vengono segnate da una parte le parole e dall’altra la dimensione musicale (come nel gregoriano); solo alcune parti della messa venivano rese polifoniche così da creare un’alternanza tra polifonia e parti monodiche.

Non è corretto considerare la polifonia come maggiormente avanzata rispetto alla monodia, perché la polifonia esisteva già nella musica primitiva e in quella orale, e anche prima dell’utilizzo della notazione scritta in ambito liturgico.

Dalla fine del XII secolo, con la fondazione dell’università a Parigi, questa città diventa importante nella cultura europea. Durante il regno dei Capetingi in Francia ci fu grande fervore culturale e furono costruite molte cattedrali gotiche come Notre Dame. Questa cattedrale fu fondamentale per lo sviluppo della polifonia: arrivavano qui studenti da ogni parte d’Europa per assorbire questo repertorio e diffonderlo. Il magister Perotin riscrisse molte polifonie del suo predecessore Leonin.

Sempre a Notre Dame fu sviluppato un primo sistema di notazione basato su due note di diversa durata: la longa e la brevis. Vennero individuati dei modi ritmici di base chiamati modi; la suddivisione di ogni modo è ternaria (tre, numero della perfezione divina). Una longa non ha valore fisso, ma può essere suddivisa in due o tre brevis, a seconda del modo a cui appartiene.

La notazione mensurale fu utilizzata nella polifonia e consisteva nell’utilizzare un sistema di 5 righi per le voci acute e un tetragramma per il tenore, la parte vocale più grave. Si usavano la longa e la brevis e spesso le ligaturae, note raffigurate insieme per individuare più facilmente il modo ritmico utilizzato. I vari sistemi di righi venivano divisi da stanghe, e in vari ordini.

Il conductus era un brano accessorio alla liturgia che nacque per accompagnare gli spostamenti di chi celebrava la messa; questa forma veniva utilizzata anche in ambito profano, aveva uno stile sillabico e il tenore procedeva allo stesso ritmo delle voci superiori.

La forma più complessa espressa dalla polifonia di Notre Dame è il motet, forse proveniente dalla parola “mot”, che si costruiva sulle sillabe di un testo e presentava la seguente organizzazione: il tenore nella posizione più grave, il motetus come voce immediatamente superiore e il triplum come la voce più acuta. Esistevano anche motetti a 4 voci, con il quadruplum nell’acuto. I tesuti utilizzati erano connessi tra loro e di estrazione liturgica. Successivamente vennero utilizzati anche in ambito volgare: il motet si aprì quindi a temi profani, come ad esempio i tesuti amorosi o satirici.

L’hoquetus si riferisce sia a una tecnica compositiva, sia a un brano polifonico. La tecnica consiste nell’alternare note e pause nel corso della linea melodica di ciascuna voce, anche eventualmente troncando il testo; la successione deve essere tale che mentre una voce ha la nota, l’altra ha la pausa e viceversa. L’effetto finale è una sorta di singhiozzo musicale da cui deriva il termine francese “hoquet”, che significa singhiozzo.

Con lo sviluppo del motet verso una forte differenziazione delle parti, le parti vennero annotate separatamente su singole linee. Francone da Colonia, per ovviare all’aumento di valori ritmici brevi, introdusse un nuovo segno, la semibrevis, con la forma di un rombo. Secondo lui la brevis era il valore di base del ritmo; la longa, se suddivisa in tre, era perfetta, se suddivisa in due, era imperfetta. Il lavoro di Francone fu ripreso da Petrus de Cruce, il quale introdusse la minima, una nota che aveva ancora funzione autonoma e che poteva essere suddivisa fino a sei valori più piccoli, indicati da un punto di divisione.

VIDERUNT OMNES – PEROTIN

Il brano inizia in una modalità tipica dello stile di Notre Dame: ogni voce tiene una nota lunga che forma con le altre intervalli di quarta, quinta e ottava. L’esecuzione prevedeva liberi abbellimenti e improvvisazioni (uso del vibrato). L’altezza della nota era indicativa, ma i cantori sceglievano la nota di loro gradimento; inoltre venivano utilizzati melismi e cambi di sillaba. Venivano utilizzate diverse figure retoriche all’interno della struttura, come ad esempio la ripetizione, che aveva la funzione di memorizzazione per gli esecutori. Secondo il musicologo Guillaume Gross, questo tipo di polifonia potrebbe essere nata dall’improvvisazione degli esecutori: probabilmente questi si mettevano d’accordo solo sulle sezioni e sulle consonanze; la maggior parte delle abilità dei cantori derivava quindi dall’esercizio mnemonico che si svolgeva nelle scuole. In questo periodo di esecuzione, non erano ancora diffusi testi scritti. Secondo Gross, gli esecutori della polifonia di Notre Dame sono anche gli autori che creavano brani in forma improvvisativa, e solo decine di anni dopo cominciarono a scriverli. Nel mondo medievale molte aspetti della cultura greca vennero interiorizzati: basta pensare all’uso della simbologia numerica o al concetto di armonia del cosmo. Venne spesso utilizzata la teoria dei suoni di Platone (considerato indegno per il resto delle sue teorie). Severino Boezio elencò i 3 tipi di musica esistenti nell’universo: • Musica instrumentalis: prodotta dagli strumenti musicali; • Musica humana: prodotta dalla relazione tra anima e corpo dell’uomo; • Musica mundana: generata dall’armonia delle sfere celesti.

La musica humana e mundana venivano ritenute non udibili all’orecchio umano; il musicista veniva considerato indegno, una bestia secondo Guido D’Arezzo, mentre il lavoro più alto era quello del teorico, capace di svelare le relazioni tra il suono e il cosmo. Secondo Platone, la musica possiede l’ethos, ovvero il valore positivo intrinseco adatto a educare i giovani a una vita sociale serena; secondo Aristotele, invece, l’arte è coinvolgimento emotivo e investe l’essere umano nella tragedia e lo purifica tramite quella che lui chiama catarsi. Le teorie sulla musica di Agostino sono presenti in tutta la sua produzione. Egli considera la musica un’arte di origine razionale: da un lato esalta il valore etico della musica alla maniera di Platone, dall’altro ne valorizza la funzione estatica nei canti liturgici per ravvivare la fede. Agostino accosta gli uomini ad alcuni strumenti musicali, dando valore massimo alla voce. Esalta il coro come forma religiosa per ritrovare la perfezione canora nella moltitudine; per questo considera demoniache le voci stonate, quelle che nel gruppo creano disarmonia e scompiglio.

Ringraziamo il nostro lettore per averci inviato la sua ricerca.

50 Merende Per La Scuola

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