Oggi parliamo della storia della musica grazie a questa ricerca scritta dal nostro gentilissimo lettore Simone M.

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Alla scoperta della musica

La storia della musica è uno dei settori della musicologia. La musicologia, istituita nel 1885, si occupa di diversi aspetti della musica come ad esempio la storia della notazione, l’organologia (storia degli strumenti musicali), l’acustica musicale, la tecnologia musicale, l’etnomusicologia. Quando parliamo di storia della musica ci riferiamo soprattutto alla musica occidentale di ambito colto, che è stata tramandata tramite la scrittura.

La storia della musica non può non relazionarsi con il contesto storico e socio-economico in cui è prodotta; così la storia della musica si suddivide in tante storie: storia degli stili musicali, delle forme musicali, degli strumenti musicali e dei compositori e degli interpreti.

I fattori storici hanno sempre bisogno di fonti storiche. Inoltre, lo storico fa una scelta tra i vari fattori storici musicali che ha a disposizione; ogni storico è specializzato in un’epoca e in una particolare visione che riguarda la storia stessa. Lo storico non ricostruisce solo gli avvenimenti, ma li interpreta anche, portando a diverse visioni della storia stessa. Ciò non crea una sola storia, ma diverse storie che si intrecciano tra di loro. Le fonti primarie sono documenti musicali come codici, partiture (manoscritti o a stampa), trattati musicali teorici. I documenti non musicali forniscono il contesto socio-culturale e sono importantissimi soprattutto per i periodi storici più antichi, di cui non abbiamo fonti dirette. I documenti non musicali sono documenti privati come lettere, opere letterarie, dipinti, fonti orali o audiovisive, stampe, fotografie. Una fonte è primaria o secondaria a seconda della visione dello storico, ad esempio il film “Amadeus su Mozart” è una fonte secondaria se si studia l’autore, ma è una fonte primaria se si studia la storia del cinema musicale.

L’etnomusicologia è un ramo della musicologia e si occupa delle tradizioni orali dei vari gruppi etnici di tutto il mondo. Lo studio delle culture extraeuropee ha messo in discussione la centralità della cultura musicale europea. L’etnomusicologia ebbe origine in Inghilterra e Germania alla fine dell’800, dove si svilupparono i primi studi di musicologia comparata che mettevano a confronto la musica occidentale con quella di altre culture. Gli etnomusicologi cominciarono ad utilizzare il fonografo meccanico e successivamente il registratore a nastro magnetico per raccogliere fonti musicali e archiviarle. Tra i primi cultori della materia abbiamo Bartòk e Kodaly che si sono cimentati nella trascrizione di melodie ungheresi, rumene, slovacche, ucraine e bulgare.

In Gran Bretagna e in Francia negli ultimi anni ha avuto grande attenzione la cosiddetta gender history, che ha rivalutato il ruolo delle donne all’interno della musica, riscoprendo figure come quelle di Clara Wieck, Maria Anna Mozart o Fanny Mendelssohn. Questi studi evidenziano che fattori di genere e sociali hanno ostacolato la naturale consacrazione di queste grandi artiste e sepolto il loro nome, rispetto a quello dei loro corrispettivi di genere maschile. Questo studio mette in luce una triste verità, cioè che la storia è soprattutto narrata da un punto di vista maschile.

IL CULTO DEI PRIMI CRISTIANI

Per molti secoli il rito cristiano è stato interamente cantato. La musica è sorta con la liturgia, l’unione di suoni e parole che costituiscono il rito. La musica sacra cristiana è parte fondamentale della musica in tutto l’Occidente. I Vangeli testimoniano la pratica dei primi cristiani di intonare salmi, inni e canti spirituali. Pare addirittura che Cristo abbia cantato un inno durante l’Ultima Cena, prima di andare a morte. Questi canti hanno origini ebraiche. I primi canti si sono sviluppati in Grecia e quindi in greco; successivamente si è imposto il latino.

Con l’editto di Milano del 313 si stabilisce la religione cristiana come unica religione dell’Impero Romano; il culto diventa quindi pubblico e si sviluppa in luoghi specifici come le basiliche, dove si svolge una vera e propria messa. La Chiesa si organizza in diocesi, al cui capo ci sono i vescovi e al vertice c’è il Papa. Questi ultimi hanno anche potere politico sui territori. In parallelo al sorgere della gerarchia ecclesiastica, si sviluppa anche il fenomeno del monachesimo, una scelta religiosa che prevede il parziale o il totale isolamento dal mondo come forma di adorazione di Dio. L’ordine monastico più diffuso è quello fondato da Benedetto da Norcia in Italia. Con la regola “ora et labora” (prega e lavora), i monaci si dedicavano al lavoro e alla preghiera.

Il rito cristiano era stato tramandato dagli Apostoli fino al II secolo. L’intervento di Gregorio I Magno è stato fondamentale per quanto riguarda le musiche e la riorganizzazione dei testi della messa. I culti si possono identificare rispetto a delle città di maggiore importanza: Antiochia, Alessandria, Roma, Arles. Dei riti della Chiesa delle origini resta un’unica testimonianza musicale: l’inno alla Trinità, tramandato grazie a un papiro del III secolo e decifrato poiché scritto nella notazione musicale dei greci. Si sa sicuramente che per influenza ebraica e greca i canti erano soprattutto all’unisono oppure con alternanza solista-coro dei fedeli. Spesso il pubblico dei fedeli era esclusivamente maschile. San Benedetto creò l’Ufficio delle Ore (organizza la compieta, le lodi per la preghiera del mattino).

Il testo dell’Inno non è tratto da una sacra scrittura, ma è un componimento poetico originale: l’inno “Crux fidelis” di Venanzio Fortunato, vescovo e poeta.

Il processo di unificazione del rito avvenne quando papa Stefano II si avvicinò politicamente a Pipino il Breve, re dei Galli; ciò fece entrare in contatto il papato con le usanze liturgiche gallicane, portando a un’esigenza di unificazione del rito religioso. Quest’opera fu continuata dal figlio Carlo Magno che proseguì con l’abolizione del canto gallico a favore di quello romano. L’unificazione del rito fu un importante strumento politico per l’unificazione culturale dei territori conquistati militarmente da Carlo Magno.
Per perseguire in questo progetto di unificazione furono inviati da Roma in tutto il Sacro Romano Impero testi liturgici e insegnanti di canti sacri. I monaci e i vescovi però inevitabilmente contaminarono il repertorio romano con quello gallicano, dando vita a un canto romano-franco, successivamente chiamato gregoriano perché ritenuto erroneamente opera di Gregorio Magno (vissuto tre secoli prima). Il canto gregoriano è ancora oggi il canto ufficiale della Chiesa cattolica.
La liturgia cattolica si organizza in un ciclo annuale di festività che ha le proprie messe specifiche (Avvento, Natale, Pasqua…) o in messe per eventi particolari (Messa di Requiem…), ma esiste anche la messa ordinaria, ovvero quella di periodi non festivi del calendario. L’ufficio delle ore è invece la celebrazione dei vari momenti della giornata e scandisce soprattutto la vita monastica. Tutte le parti del rito religioso vengono cantate, lo stile dei canti è monodico. Il motivo per cui si usa uno stile musicale scarno è per dare soprattutto valore alla parola. La musica è solo uno strumentazione per facilitare la comprensione del testo. Anche la ritmica ha questo unico scopo: valorizzare la parola di Dio. Gli stili del canto liturgico si distinguono in base a quante note sono presenti in corrispondenza di ogni sillaba: sillabico con una nota per sillaba; semi-ornato con una o più note per sillaba; ornato o melismatico con molte note per sillaba.
All’interno del coro ci sono figure esperte che eseguono parti più complesse. Se celebrante e coro si alternano si parla di stile responsoriale; se il coro si divide in due e si alterna internamente si parla di stile antifonale.
La notazione del IX secolo si avvale di neumi, derivati dall’accentazione grammaticale greca e latina. I neumi possono corrispondere a una o più note. Esistono 9 neumi di base ed altri composti che indicano variazioni espressive. I neumi sono posti sopra il testo della preghiera e per questo si chiama notazione in campo aperto. Non sono inseriti in un sistema di righe e chiavi per cui non consentono di individuare l’altezza precisa dei suoni.

DALLE CHIESE ALLE CITTÀ

Nel IX secolo il canto gregoriano era diventato il canto ufficiale della Chiesa. Nonostante ciò, ci furono i primi tentativi di sperimentazione sui canti, come ad esempio i tropi e le sequenze.

I tropi consistono nell’aggiunta, da parte dei monaci, di parti testuali e musicali all’interno dei canti senza modificare alcuna nota del canto originale. Questa nuova pratica nacque per colmare la differenza di linguaggio tra i monaci (che parlavano latino) e i fedeli, che invece parlavano principalmente in volgare.

Le sequenze invece, nascono dall’aggiunta di un testo al lungo melisma finale dell’Alleluia (jubilus). Un monaco dell’abbazia di San Gallo (Svizzera), Notker Balbulus, lo utilizzava come metodo per memorizzare più facilmente la parte complessa. Ben presto, questa tecnica si sviluppò fino a diventare un brano in sole sillabe con ripetizioni di parti musicali. La maggior parte delle sequenze presentano un climax melodico-testuale, ossia un culmine espressivo all’interno del canto.

Il repertorio di tropi e sequenze sfuggì al controllo della Chiesa e, per scongiurare il rischio di eresia, subì una censura con il Concilio di Trento, durante l’epoca della Controriforma. Solo alcune sequenze furono considerate sacre e rimasero definitivamente, come ad esempio: “Victimae Paschali Laudes”, per la Pasqua; “Veni Sancte Spiritus”, per la Pentecoste; “Lauda Sion”, per il Corpus Domini; “Dies Irae”, per la messa di Requiem. Successivamente fu recuperata un’altra sequenza attribuita a Jacopone da Todi, lo “Stabat Mater”, che ispirò grandi compositori come Pergolesi e Rossini.

Il “Dies Irae” è attribuito a Tommaso da Celano, vicino a San Francesco. È la descrizione del giudizio universale della fine dei tempi, dove la figura di Cristo è centrale per dividere gli uomini destinati all’inferno da quelli che andranno in paradiso. Solo alla fine del brano si apre uno spiraglio di speranza, grazie alla misericordia divina. A causa della vicinanza con il canto gregoriano, si è interpretato il “Dies Irae” con un ritmo libero che segue la melodia e il testo.

Elementi drammatici nella liturgia

Fin dal VII secolo assistiamo a un enfatizzarsi di gesti drammatici all’interno del rito cattolico. È un modo di enfatizzare il contenuto drammatico di alcune parti della Bibbia e dei Vangeli. Nella seconda metà del IX secolo, secondo alcune fonti, i monaci cominciarono a dividere le parti dei diversi personaggi biblici, spesso indossando costumi che li rappresentassero; i più giovani impersonavano di solito Maria e gli angeli, i più anziani gli Apostoli e i pastori e il celebrante Gesù. Il primo esempio risale al 920 e consiste nello sviluppo di un tropo che narra dello stupore delle donne giunte al sepolcro senza trovare il corpo di Gesù.

Gli ordini mendicanti e la lauda Grazie a San Francesco d’Assisi avvenne un profondo cambiamento negli ordini religiosi, alcuni infatti cominciarono a praticare la povertà e la comunicazione diretta con il popolo. Il canto di devozione di questo tipo di ordini fu la lauda, sviluppatasi tramite il Cantico delle Creature. Le laude sono un primo esempio di poesia religiosa in volgare, raccontano episodi sacri, invitando alla gioia e partecipando al dolore. È un canto monodico e sillabico, che mette in evidenza il testo. Anche in questo caso la notazione quadrata sui righi non permette di risalire alla ritmica, ma secondo ricostruzioni storiche si pensa a un ritmo binario.

Gli strumenti musicali nel Medioevo

La maggior parte degli strumenti musicali dell’epoca sono stati tramandati tramite fonti iconografiche. La più importante è il codice spagnolo Cantigas de Santa Maria, in cui sono illustrati gli strumenti, a volte però senza le reali dimensioni. Alcune fonti ribadiscono il divieto di utilizzo di strumenti musicali durante le messe, ad eccezione dell’organo, ma spesso questa regola non veniva seguita.

CORDOFONI Viella: antenata del moderno violino, poteva essere suonata sul petto o tra le gambe con un archetto. Ribeca: di origine araba, strumento ad arco molto piccolo. Crota: simile alla lira. Liuto: proveniente dallo strumento arabo oud. Arpa romanica: piccola e tozza. Salterio: strumento a corda percosso con bacchette o pizzicato con un plettro o con le dita.

AEROFONI Flauto con tamburo: flauto suonato con una sola mano, mentre l’altra percuote un tamburo. Ciaramella: strumento ad ancia doppia dal suono forte. Cromorno: strumento ad ancia incapsulata, senza direttore controllato con le labbra del suonatore. Tromba: strumento di metallo molto lungo.

MEMBRANOFONI O IDIOFONI Venivano spesso utilizzati cimbali e campanelli, anche appesi sugli abiti dei musicisti e suonati tramite il movimento della persona. I cimbali erano campane di piccole dimensioni, spesso appese a telai e percosse da un celebrante.

ORGANO Ha origini nell’antico Egitto nel III secolo a.C. In epoca romana esisteva l’organo idraulico, per mezzo della pressione dell’acqua in un serbatoio, questo tipo di strumento però aveva difficoltà con la regolazione della pressione e spesso produceva scoppi improvvisi.

LA SYMPHONIA E LA GHIRONDA La symphonia è una viella meccanica con una cassa chiusa. Le ruote poste all’interno vengono sfregate da una ruota girevole azionata da un manico esterno; la ghironda è uno strumento molto simile.

Ringraziamo il nostro lettore per averci inviato la sua ricerca.

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